Il pericolo dei Social Network

Il pericolo dei Social Network

Siamo tutti sotto controllo? Oggi l’idea che la nostra esistenza sia influenzata e telecomandata da poteri occulti non è più una leggenda metropolitana; anzi, è un’opinione diffusa che ha molte prove a suo favore.
Si potrebbe dire che noi stessi abbiamo stipulato una sorta di tacito contratto con la società in cui viviamo, col quale accettiamo di mettere a disposizione di tutti, attraverso la rete, la nostra vita.
Capita a volte però che qualcuno reagisca all’onniscenza della rete e decida di alzare la voce.
E’ vero infatti che siamo noi a condividere foto, pensieri, eventi o emozioni, ma è altrettanto vero che non per questo tutti possano e debbano usare tali contenuti contro di noi.

Il caso di Max Schrems
Pochi mesi fa Max Schrems, austriaco di 26 anni specializzato nel diritto informatico, ha deciso di denunciare Facebook.
Questo perchè: “Non è giusto che il gigante di Mento Park violi automaticamente e costantemente la nostra privacy”.
Tutto inizia nel 2011, quando un giovane studente in legge da Vienna arriva alla Silicon Valley, in California.
Nell’ambito di una ricerca sulla privacy web, Max chiede e ottiene da Facebook che gli vengano comunicate tutte le informazioni accumulate su di lu.
La sorpresa dello studente austriaco è spiazzante: riceve infatti un megadossier di oltre 1.200 pagine, un fiume di dati personali, compresi tutti i messaggi scambiati, anche quelli che Schrems pensava di aver cancellato.
Cosa è accaduto in seguito?
Max Schrems ha reso nota tutta la sua vicenda e ha citato in giudizio a Facebook, diventando in breve una celebrità tra gli attivisti per la difesa della privacy online.
In appena una settimana, alla sua class action hanno aderito oltre 25.000 persone in tutto il mondo.
Le violazioni che Schrems denuncia sono tante: dalla ricerca di consenso per la raccolta di dati alla collaborazione di Facebook con il programma di schedatura da parte della NSA, l’Agenzia per la sicurezza americana.

Ma questo è solo un caso tra tanti che hanno come protagonisti un social network e i suoi utenti, che ha avuto il merito di proiettare prepotentemente i riflettori sul tema della privacy online.
Un tema dai connotati anche etici e morali, che già aveva scosso
l’opinione pubblica mondiale con il caso di Edward Snowden.
Secondo molti complottisti, i Social Network sarebbero lo strumento perfetto per realizzare il progetto di sorveglianza globale della popolazione.
E l’aspetto più significativo, e insieme preoccupante, è che la colpa è tutta nostra.Ogni giorno infatti consegniamo volontariamente la nostra vita in pasto a chiunque.
E’ uno scenario apocalittico che ci pone di fronte a mille domande.
La “piazza virtuale” è un posto sicuro? Il grande successo dei social network potrebbe essere stato favorito da chi vuole controllare le nostre vite? Siamo vittime di un complotto mondiale?

Numeri alla mano
L’obiettivo dei social network è quello di rendere il mondo più aperto e connesso.
I numeri sono chiari: in Italia, oltre l’82% dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni ha un telefonino che si collega a Internet.
Nel nostro paese, gli utenti Facebook sono circa 26 milioni e più della metà accede al social tutti i giorni.
Contrariamente a quanto si crede, però, non sono gli adolescenti i più “addicted”: il 48% degli iscritti, infatti, ha più di 35 anni.
Ma vivere perennemente online comporta dei rischi davvero inquietanti.
Secondo la Federconsumatori, oggi quattro adolescenti su dieci sono infamati attraverso i social network e il 41% è addirittura vittima di atteggiamenti scorretti da parte di altri, come le diffusione di foto riservate e furto d’identità.
Il pericolo non è rappresentato dalla rete in sè, ma dall’uso che indiscriminato che noi ne facciamo.
Possiamo notare che nel 2013: i casi di stalking online in Italia sono stati 6.863, mentre le denunce per furto d’identità hanno raggiunto quota 13.709.

Come possono violare la nostra privacy?
Taggare, geocalizzare, selfie: sono parole entrate ormai nel linguaggio comune.
Ma questi concetti nascondono un pericolo di base.
Attraverso i social siamo sempre rintracciabili e la nostra vita privata, ammesso che ce ne sia ancora una, è in pericolo.
Il sistema funziona così: ogni sei minuti il nostro Internet Service Provider, ovvero il nostro fornitore di Internet, controlla chi staimo chiamando, dove ci troviamo, quali siti visitiamo e quali email inviamo e riceviamo.
Tutto questo per 225 volte al giorno: esso prende il nome di “data retention”.
Nel 2006 L’Unione Europea ha chiesto e ottenuto che i provider conservassero questi dati, ufficialmente per la nostra sicurezza.
Ma quali sono le reali conseguenze di tutto questo per la nostra libertà?

Il controllo prima di tutto
Nel 2011 il governo tedesco ha installato di nascosto file trojan (virus) nei pc dei suoi cittadini per attivare a loro insaputa microfoni e webcam con lo scopo di controllarli.
Nel 2013, durante il G20 di San Pietroburgo, ha suscitato molto clamore il caso delle chiavette USB regalate ai diplomatici stranieri, chievette che contenevano plugin in grado di rubare e trasmettere informazioni segrete.

Il finanziamento della CIA a Facebook
Oggi viviamo in un’epoca in cui l’informazione equivale a potere.
Più cose si conoscono di qualcuno, più lo si può tenere sotto controllo.
E i social network, in questo senso, sono uno strumento perfetto e insidioso. E la CIA lo sa.
Non è cosa nota infatti che tra i primi a finanziare Facebook ci sia stato un fondo investitori che aveva alle spalle proprio la CIA.

Così come è altrettanto poco noto che ancora oggi, dopo lo scandalo del Datagate, la NSA ogni giorno continua a schedare e immagazzinare milioni di immagini di volti: i nostri!
Se infatti fino a poco tempo fa al centro dell’attività della NSA erano le comunicazioni, ora l’Agenzia per controllare i cittadini o altri target di intelligence punta ai loro visi.
E le foto ovviamente vengono rubate dai miliardi di profili personali degli utenti di tutto il mondo.
Un fatto rilevante inteso ad arginare la violazione di privacy è avvenuto il 13 maggio 2014, quando la Corte Europea ha emesso una sentenza con cui dava ai cittadini la possibilità di chiedere ai motori di ricerca web di rimuovere tutte le pagine indesiderate che contenessero informazioni personali.
E’ il cosidetto “diritto all’oblio”.
In pochi giorni, motori di ricerca come Google hanno ricevuto oltre 40 mila richieste di rimozione da parte degli utenti.

Il dibattito sul confine che esiste tra diritto alla privacy e necessità d’informazione rimane aperto, ed è ancora lontano dall’essere risolto.

Fonte: link

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