La città del Sole

Luogo: Riserva naturale del Sasso di Simone (AR)

Nei pressi di Sestino (AR) e di Carpegna (AR) è visibile un’insolita formazione geologica, perchè costituita da un imponente rilievo calcareo di 1204 metri di altezza con cima piatta. E’ chiamata “Sasso di Simone”.
La formazione principale è affiancata da un masso più piccolo da nome di Simoncello. La loro presenza anomala, perchè diversa dalla formazione del territorio, è spiegata dal fatto che entrambi sarebbero giunti fino a qui fin dal mar Tirreno circa 3 milioni di anni fa, scivolando sui terreni argillosi. Sono infatti formati da rocce sedimentarie costituite prevalentemente da fossili marini del tipo di echini e ostriche, parte di essi visibili alla Geoteca della Vallata del Carpegna.
Il Sasso fu abitato fin dall’epoca del bronzo e utilizzato come tempio naturale per le divinità adorate da antichi sacerdoti romani, detti i “Semoni” una delle varie ipotesi sull’origine del nome. Rimane però in auge una leggenda che narra che il nome fosse derivato da un eremita giunto dall’oriente chiamato Simone, che avrebbe scelto di viverci in totale solitudine e preghiera, come del resto fecero molti monaci in Italia.
In seguito, verso l’anno 1000, fu edificata alla sommità un’abbazia benedettina, dedicata a San Michele Arcangelo, sopra le rovine di un tempio longobardo. I monaci che qui vi abitavano in totale clausura, riuscirono a coltivare l’altopiano ricavandoci cereali, lino e piselli. Purtroppo però vi fu un brusco cambiamento climatico con inverni sempre più rigidi e l cima divenne invivibile obbligando i monaci, già nel 1200, a trasferirsi altrove, sia nel vicino Castello di San Sisto che a Sestino, inizialmente solo per l’inverno ma successivamente per l’intero anno, spopolando in questo modo, l’intera zona.
Il monastero cadde in rovina e il luogo fu completamente abbandonato, fino al 1565, quando Cosimo I de’ Medici lo scelse grazie alla posizione e alla maestosità geologica, per costruirvi una città fortezza a difesa dei confini del Granducato nei confronti dei nemici, i duchi di Urbino.
Era un progetto ardito che portava in sè grandi aspettative, infatti solo la posa della prima pietra fu celebrata con grandi onori. Oltre alla difesa infatti, questa fortezza sarebbe stata un simbolo di potere per Cosimo, quasi una casa divina, sopra cielo e nuvole. Concorrente al castello di San Leo, ma molto più inespugnabile per la presenza di pareti ripide e verticali su tutti e 4 i lati.
Progettata dagli architetti Giovanni Camerini e Simone Genga venne chiamata “Città del Sole”, ma durò solo un secolo, perchè a causa delle forti difficoltà climatiche, fu abbandonata nel 1673 dai 300 abitanti prima ancora di essere del tutto terminata, dopo soli 10 anni. Certamente impossibile da espugnare, non rappresentava comunque una preda ambita, in quanto luogo troppo arduo per abitarvi per un essere umano- solo un Dio vi poteva risiedere.
Una città che rimane utopica, geometricamente perfetta ma solo nell’immaginazione, una città “ideale” perchè connubio tra architettura, natura e spiritualità. Una Gerusalemme celeste sognata e pensata ma mai del tutto realizzata. A volte la si vede apparire come un miraggio tra le nuvole, ma scompare non appena il cielo diviene terso.
Ad oggi resta solo la strada lastricata che porterebbe alla nostra ipotetica città sorpresa nel vuoto, una sorta di Olimpo immaginario del quale restano solo alcuni ruderi, tra cui una delle cisterne che contiene ancora l’acqua, resti di mura e le basi della pianta urbanistica. Sarebbe stata la città “sul tetto del mondo” motivo per cui avrebbe meritato il nome di “città del Sole”.
La riserva naturale odierna è di innegabile bellezza e, nonostante non presenti alcun tipo di edificazione religiosa, mantiene comunque un ambiente e un’atmosfera di totale sacralità. Restituita alla natura, dove il Sole si riposa e forse addirittura ci vive in ciò che è la “sua” città o quantomeno un suo tempio. Peccato che di “sole” la zona ha ben poco dato che l’abbandono fu dovuto proprio all’eccessivo clima rigido.

Il sacrificio degli abitanti
Si riporta un tratto del libro di Girolamo Allegretti – “LA CITTA’ DEL SASSO” che ben racconta sia la struttura della Città del Sole e sia le difficoltà nell’abitarla. Il brano è tratto dal sito del Comune di Carpegna:
“Il 14 Luglio 1566 si avvia l’immane opera: si iniziano a gettare le fondamenta delle case per accogliere i previsti 300 abitanti, le osterie, le casematte, il forno, le carceri, le grandi cisterne per l’acqua (quella principale, incredibilmente, è ancora piena d’acqua), l’armeria, l’arsenale, il tribunale, le stella, la chiesa, i magazzini per i viveri, ecc..
Per un intero decennio questo luogo isolato e silenzioso risuonò dei rumori e delle voci delle centinaia di operai, falegnami, carpentieri, fabbri, muratori, del cigolio dei carri e delle carrucole, del muggire dei buoi.
Si fabbricano in loco mattoni e tegole, si squadrano le pietre, si scava la roccia, si forgiano cardini e serrature, si fabbricano gli armamenti. I lavori non si fermano neanche con l’inverno: una carovana di uomini, carri e buoi, carichi di pesanti pezzi d’artiglieria, arriva appositamente da Arezzo.
Spossati dal viaggio, dalla fatica e dal freddo, i buoi che trainano i carri giungono stremati in cima al monte, ma scivolano sulla ripida salita gelata. Nessuno riesce a fermarli: travolgono la retrostante spedizione e precipitano tutti nel vuoto in un’orrenda carneficina. L’utopistico progetto nasceva obsoleto già in partenza. Drammaticamente costoso rispetto all’effettiva utilità, quando ormai le guerre si combattevano e risolvevano in campo aperto per il mutare di tattiche e armamenti, avrebbe dovuto suscitare qualche dubbio, ma si andò avanti ugualmente.
Il primo gruppo formato da una decina di soldati fu mandato a presidiare la fortezza nel Dicembre 1573. E già allora ci si accorse delle difficoltà: “Ci sono poche provviste e la legna bisogna estrarla di sotto la neve alta. Fa freddo. Siamo male equipaggiati e non ci è da dormire. Il vento caccia la neve persino nei letti”. Nell’estate del 1574 le case abitate erano ancora pochissime e gli occupanti vi risiedevano malvolentieri. Il vescovo di Famagosta, in visita estiva al Sasso, annota che “…sarà molto difficile che qualcuno potrà risiedervi d’inverno”. Nel successivo inverno si dovette allestire una cappella all’interno del palazzo del capitano, poichè “…non si poteva andare alla chiesa ordinaria per via dei tempi cattivi”: distava appena settanta metri.
Quella che fu in seguito definita “La piccola glaciazione” era appena agli inizi. Le estati si accorceranno. Gli inverni diverranno più lunghi e rigidi. Sarà la causa della totale distruzione dei raccolti, di un disastro che metterà in ginocchio la montagna per secoli. Sarà la fame più disperata e la conseguente perdita di un terzo della popolazione. Qui non si parlava di benessere: era in gioco la sopravvivenza stessa. Spazzato da venti e bufere, attanagliato dal gelo, insidiato dalla natura selvaggia del luogo, stretto d’assedio da branchi di lupi famelici e da non meno feroci gruppi di banditi spietati, il sogno mediceo si era trasformato in un incubo. Ancora per poco qualche audace resistette nella città: dieci anni dopo la sua costruzione, l’ardita fortezza era ormai totalmente abbandonata.
Le strutture andarono incontro ad un rapido deterioramento e nel 1674 la città era già totalmente diroccata, tanto che ne fu decretato lo smantellamento per il recupero dei pochi materiali utilizzabili. Alcuni di questi li possiamo tutt’ora vedere nei vecchi cascinali del circondario e sulle facciate di qualche antica costruzione.
Del poco rimasto, la natura avrebbe presto fatto giustizia: il vento, il freddo, le tempeste, il ghiaccio e la vegetazione cancelleranno rapidamente il sogno del giovane principe fiorentino. Poche tracce nascoste in un ambiente aspro e selvaggio: ecco ciò che rimane, oggi, di quelle assurda scommessa”.

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