La chiesa dell’infinito

Luogo: Genga (AN) 

L’abbazia romanica di San Vittore delle Chiuse venne edificata dai longobardi verso la fine del X secolo in terra d’origine di San Benedetto, a cui è dedicata. La chiesa è stata costruita nella Gola di Frasassi, all’interno di un “anfiteatro” di montagne dalle quali risulta completamente circondata; si dice che lo stesso nome “delle Chiuse” (Rave di Clusis) sia stato attribuito proprio per questo motivo, poichè risultava “chiusa” tra i monti, come se la proteggessero nascondendola.
Resta un luogo di profonda pace e spiritualità e mai come in questo caso è stata scelta un’aera in cui la costruzione risulta in totale armonia con la natura circostante, trasmettendo a chi la osserva un perfetto rapporto architettura/natura. La sacralità qui è percepibile in ogni sua forma ed è impossibile non ritrovare un senso di pace assoluta percorrendo la strada che porta all’entrata.
L’abbazia si trova sopra il fiume Sentino, presso il quale è possibile osservare il bellissimo ponte romano, perfettamente inglobato nel piccolo borgo abbaziale contraddistinto da una torre quadrangolare di difesa medievale, conferendo al luogo l’aspetto di “cittadella fortificata”.
In questi luoghi hanno soggiornato per secoli gli Ordini monastici dediti al lavoro della terra e alla preghiera impregnando il luogo di sacralità. Tra questi ordini quello dei benedettini risulta essere quello più presente; essi si occupavano della cura delle anime nei borghi e nelle campagna, con la diffusione e l’istituzione di altri conventi e complessi monastici nell’entroterra marchigiano.
Il complesso monastico ebbe enorme importanza nei secoli XI e nel XII, perchè era il centro di un’area cristiana da cui dipendevano altre 33 chiese e 13 castelli. Purtroppo però nel 1212, quando l’abate Morico III fu costretto a consegnare Castel Petroso al comune di Fabriano, iniziò la decadenza di S. Vittore delle Chiuse, fino a che l’abbazia fu consegnata definitivamente al monastero olivetano di S. Caterina di Fabriano perchè “in perdita economica”.
La struttura esterna romanica costituita da blocchi di pietra bianca e rosata, molto sobria, si distribuisce in una pianta a croce greca inscritta in un quadrato centrale da cui si estende una cupola con base ottagonale.
Anche all’interno è molto sobrio e non presenta alcuna forma di decorazione o di immagine. Il fatto di essere scarna a tal punto conferisce, a chi entra, un senso di purezza e leggerezza, il grande spazio che si respira all’interno suggerisce una suggestione senza pari, l’occhio non è distratto da nulla ma vaga tra gli archi e le pareti volando in un ambiente chiaro e luminoso, nonostante la struttura che dovrebbe renderlo cupo. La sensazione di pace è assicurata, il silenzio è assoluto, la preghiera che si consumava tra queste pareti doveva essere cristallina.
L’unico simbolo che balza all’occhio, solitario e misterioso, è un otto rovesciato o simbolo dell’infinito nei pressi della porta a sinistra dell’altare.
Non si conosce l’origine e il motivo della presenza del simbolo, forse è un riassunto dell’intera abbazia, spiega mediante l’immagine il senso della struttura che sa portare all’infinito lo sguardo di chi la osserva. Chi non comprende la risposta appena entrato, viene portato alla riflessione dal simbolo enigmatico, impossibile da non notare per la sua solitaria unicità che catalizza l’attenzione.
La stessa abbazia di S. Vittore delle Chiuse, circondata dalle catene montuose marchigiane, non può che trasmettere ciò che alcune strutture sanno dare: vista da lontano l’edificio sembra contenuto in un gigantesco graal costruito dalle montagne. Chi ne “beve” e se ne nutre, ha vita eterna…. infinita….

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