La camera alchemica

Luogo: Fontanellato (PR) Rocca Sanvitale

Fontanellato deriva il suo nome da “Fontana Lata”, che richiama la ricchezza delle acque “risorgive”, sorgenti naturali tipiche della bassa padana. L’uomo era presente in queste zone già all’età del bronzo (1800 a.C.). Dopo il 1000 iniziò il processo di graduale sviluppo economico del centro urbano, che, dal primitivo castello, si estese a ciò che possiamo vedere nell’attuale borgo, senza incisivi sconvolgimenti. Il centro storico veniva salvaguardato da un esteso fossato esterno, al cui posto oggi si snoda la circonvallazione.
I Sanvitale furono i feudatari di Fontanellato dal XIV secolo e proprietari della Rocca fino al 1948. La rocca presenta torri a pianta quadrata, testimonianza del fatto che fu costruita in un’epoca in cui non esisteva l’artiglieria (le torri a pianta circolare sono così concepite per resistere ai colpi di cannone), è circondato da un fossato, uno dei pochi ancora oggi pieni d’acqua.

Simboli sacri nella camera nuziale?
L’interno presenta moltissimi affreschi e opere d’arte, come una “moderna” cassa di sicurezza con un intricato meccanismo di chiusura e come le curiose grottesche di Borselli e Baglione. Curioso il soffitto della camera nuziale, ricco di simboli legati alla passione di Cristo, il motivo è ignoto, forse era una stanza ad utilizzo sacro, oppure doveva servire a ricordare agli sposi di “non esagerare”, chissà…

Il ritratto della fanciulla decapitata
Sempre nella camera nuziale è presente un ritratto di Barbara Sanseverino Sanvitale, contessa di Colorno, famosa per la sua bellezza ed intelligenza, che però venne fatta decapitare dal Duca Ranuccio I Farnese, con il pretesto di una congiura contro di lui. Chissà cosa realmente c’era stato dietro l’episodio, dato che la famiglia Farnese era famosa per la cattiveria, gli omicidi, le congiure e la corruzione; e, come se non bastasse aveva forti legami con il papato, che gli assicurava protezione at libitum. Si poteva tranquillamente affermare che laddove passava un Farnese spuntava dal suolo qualche nuova tomba.

La stanza alchemica
Ma ciò che spicca per la sua inquietante stranezza, ciò su cui vale davvero la pena soffermarsi, è la stanza del Parmigianino: la saletta di Diana e Atteone. Essa è il vero capolavoro della Rocca Sanvitale di Fontanellato. E’ stata realizzata sotto il Ducato di Galeazzo Sanvitale e la moglie Paola figlia di Ludovico Gonzaga marchese di Sabbioneta, nel 1523, anno che fu teatro di una serie di rinnovamenti, tra cui gli studi alchemici, e periodo in cui l’inquisizione aveva un bel da fare. L’aria di Fontanellato era già piuttosto cupa per via del fatto che Galeazzo era stato nominato colonnello del re di Francia e i francese erano appena stati cacciati dal ducato di Milano; inoltre Parma era ritornata sotto il dominio della Chiesa. +
Come se non bastasse l’ultimo figlio maschio della coppia morì subito dopo la nascita portando nella nobile famiglia una disperazione senza pari. Giusto pochi mesi dopo il Parmigianino fu assoldato per affrescare una piccola stanza al piano terreno, abbastanza isolata, quasi segreta e completamente priva di finestre, un luogo particolarmente misterioso. Venne dipinta da un Parmigianino giovane, ventenne, ma già professionista e richiesto, dedito all’alchimia fino alla follia, ossessione che gli provocò molti problemi perchè spesso dimenticava completamente i suoi doveri a tal punto da venire arrestato e morire per un’infezione allo stomaco un pò troppo giovane, quasi certamente conseguenza dei numerosi esperimenti alchemici che gli riempivano morbosamente le giornate. In questa stanza di soli 3×4 metri viene rappresentata la leggenda di Atteone, un cacciatore che, dopo aver inavvertitamente scorto Diana mentre si rinfrescava in una pozza d’acqua, viene trasformata per punizione dalla stessa dea, protettrice della caccia, in un cervo e divorato dai suoi stessi cani.
In questa vicenda un innocente viene colpito dalla sua stessa divinità per una colpa che non ha commesso volontariamente, perchè è il destino che lo porta verso la sua tragica fine.
Fondamentalmente viene presentata la metafora della vita, ovvero il fatto che le persone vengono punite spesso senza una ragione, non perchè siano buone o cattive, ma perchè quello è il loro fato. La metamorfosi di Ovidio ci dà una vera e propria lezione di vita… Perchè a volte ci accade qualcosa di brutto, come una punizione senza aver commesso peccato? Perchè Dio si dimostrerebbe così crudele con noi? Perchè così è stato deciso fin dalla nostra nascita.
Paola, moglie di Goffredo, si sarà sicuramente fatta la stessa domanda “Perchè è morto mio figlio senza che abbiamo commesso alcun male?” E’ il destino, che non seleziona bello o brutti, stupidi o dotti, forti o deboli, ma sceglie solo chi vuole scegliere. Nella stanza abbiamo un elemento che rende valido questo discorso, un angelo con occhi fatati, talmente strano da non far parte del nostro mondo (sono i classici occhi inquietanti che caratterizzano i personaggi del Parmigianino), provenienti dall’aldilà, che porta via con sè il neonato.
Vi è anche un altro particolare. Atteone nella mitologia è un uomo, ma nella stanza viene raffigurato come una donna che viene dilaniata dal suo stesso cane (identificato con una conchiglia nel collare) come a mostrare che colui che faceva parte di lei, le ha dilaniato il cuore. La donna è dunque Paola. La conchiglia oltre ad essere il simbolo del arcofago, era anche il simbolo di maternità )la perla nella conchiglia, la vita nell’utero) e simbolo di resurrezione (la perla nella conchiglia, come l’anima nel corpo, nel sarcofago). Inoltre Diana era anche dea del parto e della maternità e aveva lo stesso potere di Apollo (Diana luna e Apollo sole), ovvero quello di provocare morti improvvise. Il figlio di Paola viene colpito da Diana proprio come Atteone viene colpito ingiustamente dalla sua protettrice. Forse allegoria dello stesso Gesù, che morì senza colpa alcuna ma solo per soddisfare un misterioso disegno divino.
Infine al centro del soffitto si trova uno specchio nel quale vi è l’iscrizione “Respicem finem” ovvero “Considera la fine”. Insomma, nel complesso un’autentica stanza alchemica. Anche Galeazzo come il Parmigianino era dedito all’alchimia, e probabilmente la realizzazione di questa stanza è stata frutto di due menti, che hanno ben pensato di “trasformare” (la metamorfosi era il tema dominante dell’alchimia, dato che il principale obbiettivo era trasformare il piombo in oro) l’anima mortale del figlio in anima immortale. Attraverso l’arte si tentava alchemicamente di far rivivere il figlio, sensazione avvertibile entrando in questa piccola stanza funeraria.

La camera ottica
Nel giardino pensile vi è una piccola stanza completamente buia, situata in una delle torri. Essa contiene una piccola tecnologia estremamente moderna per l’epoca: la camera ottica. Vi è infatti uno schermo concavo sul quale viene proiettata la luce attraverso alcune lenti e prismi posizionate in direzione della strada. In questo modo la luce proietta l’immagine stessa della via sullo schermo cosicchè si potesse osservare l’esterno senza essere visti!

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