Men in Black

Men in Black

Due uomini con la classica divisa dei MIB, recentemente ripresi da una telecamera a circuito chiuso in un hotel in Canada

Prima degli anni ’50 nessuno parlava di Uomini in Nero.
E’ nel 1953 che l’ufologo statunitense Albert K. Bender, direttore dell’International Flying Saucer Bureau, affermò di essere stato costretto a chiudere l’ente di ricerca da lui gestito in quanto tre uomini vestiti di nero l’avrebbero pesantemente minacciato portandolo alla decisione di abbandonare le proprie ricerche.
Tre anni più tardi Gray Barker, anche lui ufologo americano, diede alle stampe il saggio “They Knew Too Much about Flying Saucers” (vedi copertina del libro a sinistra), nel quale riportava numerosi resoconti relativi a questi misteriosi individui vestiti di nero.
Il caso Bender viene ampiamente trattato in questo saggio e costituisce, nell’ottica di Barker, un’esempio lampante di come dietro al fenomeno dei Men in Black vi sia qualche ente governativo disposto a utilizzare ogni tipo di metodo pur di indurre al silenzio gli ufologi.
Dal momento che spesso tali uomini in nero vestivano uniformi dell’USAF, vari ricercatori giunsero alla conclusione scontata che fosse l’aeronautica statunitense stessa alla base di tale opera di intimidazione e di occultamento prove.
Nel 1963 lo stesso Bender scrisse il saggio “Flying Saucers and the Three Men” (vedi copertina del libro a sinistra), in cui raccontò per intero ciò che era avvenuto dieci anni prima, con riferimento alla chiusura “forzata” del suo ente di ricerca.
Quanto esposto in tale opera potrà apparire per lo meno strano, se non addirittura incredibile.
Egli afferma, infatti, di aver ricevuto diverse visite da parte di tre persone di aspetto orientale e dalla carnagione abbronzata, che avrebbero avuto la capacità di materializzarsi all’istante all’interno della sua abitazione.
Una volta, afferma Bender, queste persone lo avrebbero persino teletrasportato in una base segreta in Antartide e gli avrebbero rivelato il motivo della presenza aliena sulla Terra: estrarre un raro materiale dagli abissi oceanici.
Questo processo sarebbe stato ultimato all’inizio degli anni ’60 e, dunque, Bender sarebbe stato così libero di rivelare quanto accaduto.
Tali affermazioni non fecero che sollevare numerose contestazioni non solo negli ambienti scientifico-accademici, ma anche tra gli ufologi, i quali ritenevano che quanto affermato da Bender fosse il parto di una fervida immaginazione in cerca di sensazionalismo.
Egli raccontò anche di essere stato perseguitato da strane manifestazioni riconducibili alla fenomenologia del poltergeist, di aver spesso sentito odore di zolfo in casa, di aver avuto perdite di memoria (il cosiddetto “missing-time”): tutti avvenimenti non facilmente spiegabili, che costituiscono però lo scheletro fondamentale di fenomeni in apparenza distanti dalle tematiche ufologiche, ma che spesso si intrecciano con queste ultime.

Nel corso degli anni le apparizioni dei Men in Black non sono terminate.
Sono infatti numerosissimi i resoconti di persone che affermano di essere state avvicinate da queste figure a seguito di un avvistamento di un U.F.O. o di un contatto con le presunte entità provenienti dall’U.F.O. stesso.
Ciò che balza agli occhi dall’analisi della casistica è l’omogeneità di quanto raccontato: soggetti dai tratti orientali con vestiti neri che paiono appena acquistati o con uniformi dell’aeronautica militare statunitense scenderebbero da Cadillac nere anch’esse nuove di zecca e comincerebbero un’attività di pressante intimidazione allo scopo di spaventare i testimoni e indurli a non parlare di quanto osservato.
Spesso costoro fornirebbero pure le proprie generalità e l’ente governativo di provenienza, tutte informazioni che, a una prima indagine, si rivelano subito false.
Vi sono anche casi in cui vengono fornite generalità in apparenza veritiere (del tipo: “sono il maggiore XY”), ma poi si scopre che la persona della base aerea più vicina con questo cognome è morta oppure ha un grado differente.
Tutto questo genera confusione e conferisce un alone di mistero attorno alle loro figure.
Da quanto finora esaminato, emerge come la casistica relativa ai Men in Black presenti delle peculiarità tali da far pensare che non ci si trovi solamente davanti a un’attività di cover-up da parte dei governi nei confronti del fenomeno U.F.O.

Men in Black nell’ottocento
In passato, in periodi in cui ancora non si parlava di U.F.O. e di attività di insabbiamento da parte dei governi, è possibile individuare la presenza di soggetti le cui caratteristiche sono paragonabili a quelli dei moderni Men in Black.
Come esaminato a fondo da John A. Keel nel suo saggio “UFO’s: Operation Trojan Horse” (UFO: Operazione Cavallo di Troia, vedi immagine a sinistra), l’ondata di avvistamenti di aeronavi misteriosa avvenuta nel 1896 e durante l’anno seguente negli Stati Uniti è stata accompagnata dall’operato di fantomatiche figure che fornivano informazioni sulle aeronavi.
Per esempio nel 1986 un uomo dai tratti asiatici, dagli occhi scuri e fuggenti, vestito di nero e proveniente da “altrove” (testuali parole) si presentò a un avvocato di San Francisco (come risulta dagli atti notarili dell’epoca) per brevettare la sua invenzione: un’aeronave il cui funzionamento si basava sull’aria compressa.
Una vicenda simile, con personaggi differenti, si ripeté in varie zone degli Stati Uniti: un personaggio, percepito dai locali come “estraneo”, si recava da avvocati o da notai del luogo e faceva domanda per ottenere un brevetto, oppure comunicava alla stampa di tranquillizzare la popolazione su quanto sarebbe avvenuto nei cieli nei giorni successivi, affermando che sarebbe stato il frutto di un’invenzione particolarmente innovativa.
Si potrebbe affermare che si trattò proprio di quanto detto, vale a dire dell’invenzione di una macchina volante, ma tale opinione andrebbe a cozzare con una serie di elementi oggettivi e inspiegabili:
1- Le prestazioni mostrate da tali aeronavi erano totalmente superiori non solo ai livelli raggiunti dalla scienza dell’epoca, che era agli albori, ma anche ai livelli che sarebbero stati raggiunti nei decenni successivi.
2- I progetti di queste aeronavi non hanno condotto ad alcun modello affettivamente brevettato ed operativo.
3- Dopo quel biennio non si è saputo più nulla di queste aeronavi misteriose e della loro presunta provenienza terrestre.
4- I sedicenti inventori, che fornivano sempre le proprie generalità ai giornali e legali a cui si rivolgevano, non sono mai stati rintracciati dopo le loro brevi comparse per comunicare l’invenzione fatta.

Per quanto concerne la tematica dei Men in Black, balza agli occhi la massiccia presenza di individui di incerta provenienza, che percorrevano gli Stati Uniti nel tentativo di tranquillizzare le masse su quanto veniva osservato nei cieli.
Certo, quanto accade oggi è in parte differente nelle modalità, in quanto non sarebbe più pensabile ottenere il risultato di calmare le persone semplicemente lanciando comunicati la cui provenienza verrebbe subito messa in discussione.
Di conseguenza, il metodo utilizzato dai Men in Black è mutato, ma l’intento è sempre il medesimo: sminuire il più possibile le tematiche ufologiche e far si che la società non venga turbata da quanto avviene sempre più costantemente nei cieli di tutto il mondo.

Conclusioni
Un interrogativo fondamentale, a questo punto, rimane quello relativo alla provenienza dei Men in Black.
Constatata la loro presenza in anni in cui parlare di cover-up sarebbe stato ridicolo, la conclusione a cui si può giungere è che essi siano parte integrante del fenomeno UFO e che la loro matrice non sia terrestre.
Tale scenario non esclude affatto l’ipotesi che l’insabbiamento delle prove e l’induzione al silenzio dei testimoni possa essere messa in atto anche da enti terrestri, interessati a mantenere tranquilla la popolazione al fine di evitare lo shock culturale che un’eventuale e improvvisa rivelazione della presenza aliena sulla Terra potrebbe causare.

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