I Licantropi

I Licantropi


Il licantropo, detto anche uomo lupo o lupo mannaro è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura dell’orrore e successivamente del cinema dell’orrore.
Secondo la leggenda, il licantropo è un essere umano condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l’orso, il bue (Erchitu) o il gatto selvatico.
Nella narrativa e nella cinematografia dell’orrore sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si possa uccidere solo con un’arma d’argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso.
Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione venisse infranta.
È importante notare inoltre che lupo mannaro e licantropo non sempre sono sinonimi: infatti nelle leggende popolari il lupo mannaro è talvolta semplicemente un grosso lupo con abitudini antropofaghe, a cui può essere associata o no una natura mostruosa.
Inoltre, nel caso del lupo mannaro come muta-forma, si può distinguere tra il lupo mannaro, che si trasforma contro la propria volontà, e il licantropo, che si può trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Nella letteratura medica e psichiatrica con licantropia è stata descritta una sindrome isterica che avrebbe colpito le persone, facendo sì che assumessero atteggiamenti da lupo durante particolari condizioni (come le notti di luna piena).
In modo analogo un licantropo era semplicemente una persona affetta da questo disturbo ed è con questo unico significato che la voce è riportata sui alcuni importanti dizionari della lingua italiana.
In tempi recenti, l’esistenza di tale disturbo è stata considerata rarissima o addirittura messa in discussione dalla psichiatria stessa.

Origini
Il lupo è stato un animale soggetto ad un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione, dimostrando la sua intima connessione all’immaginario umano.
Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l’animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l’astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo.
Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell’uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola.
Il cacciatore ha bisogno della forza dell’animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e ad uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza.
Per i cacciatori nomadi delle steppe dell’Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore.
L’agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito di un essere umano che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture.
I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indoarie le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee.
Il substrato di religioni e miti “lunari” e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni “solari” e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista.
La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione.
In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli.
In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l’anno.
Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l’uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Le leggende riguardo agli uomini-lupo si moltiplicano in tutta Europa dall’Alto Medioevo in poi.
Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi cacce alle streghe dell’Inquisizione.
Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già “lunatico” a credersi bestia a tutti gli effetti.
Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.

Antico Egitto
Nell’Antico Egitto, le prime raffigurazioni di un incrocio tra un canide e un uomo riguardano lo sciacallo.
Anubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi Egizi, sia nell’Alto che nel Basso Egitto, fin dalle prime dinastie.
Il dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo.
Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all’inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134 a.C.–1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate.
Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l’equivalente dell’anima cristiana) nel regno delle ombre.
Lo conduce fino a Osiride, a cui era deputato il giudizio dell’anima.
Anubi, inoltre, presiede insieme ad Horus alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso.
In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l’aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell’immaginario egizio.
La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egizia e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.

Antica Grecia
Nell’Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, rispettivamente Zeus, Febo e Licaone.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo.
Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo.
In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l’eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa.
Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo.
A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l’ordine scolastico, detto, appunto, liceo).
Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
L’interpretazione non è comunque univoca; secondo altre fonti il nome deriverebbe da (Apóllōn) lýkeios, quindi “uccisore del lupo”.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere.
Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo.
Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell’Arcadia.
Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d’uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli).
Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia.
L’economia nella zona dell’Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all’allevamento di quanto non fossero Atene o Argo.
Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l’atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina.
Il “lupo cattivo” stesso, nemesi dell’eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica.
La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.

Antica Roma
La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee.
Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell’atto di divorare un morto.
Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi.
Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica.
Ne parla Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima novella in cui appare questa figura:

« […] arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. […] appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. […] Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: “Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia”. Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. […] quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »

Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione.
È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all’interno dell’esercito.
I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l’elmo e parte della corazza.
Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all’interno del corpo di un uomo, che poi si “rivoltava” assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano).
Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini.
Essi identificavano sé stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori.
Il termine “lupo mannaro” ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è “lupo che si comporta come un uomo”.
I Romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia è concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Ars medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:

« Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d’aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell’accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l’infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d’altra parte di bagni d’acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate »

Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola germanica che indica l’uomo che viene punito per un crimine.
Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all’essere selvatico per eccellenza. “Criminale” è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico).

Morfologia Licantropica
Per lo più, tutte le storie e le leggende sono concordi nell’affermare l’origine diabolica del mostro, che viene spesso associato con streghe ed eretici.
A parte questo punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e non una creatura ibrida tra l’uomo e la bestia, come nei film d’orrore), che può però assumere un’ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l’intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari.
Taluni affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente imperfette.
Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero.
Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno).
Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente.
Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali.
Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all’occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l’immenso gusto del licantropo per la carne fresca.

Il demonologo francese Pierre Delancre (Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:

« Essi sgozzano li cani e li bambini e li divorano con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »

Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene.
Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia.
Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani.
Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda.
È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l’uomo-lupo è il francese mener de loups o “pastore di lupi”.
È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini.
La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo.
Alla testa dei suoi “simili”, poi, il lupo mannaro può dare l’assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti.
Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l’opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo “doppio” innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro possibile incarnazione).
I lupi sono vicini a Satana, e devono cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie, a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.

Diventare un Licantropo
Molti sono i modi per diventare licantropi.
L’unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso.
Il morso come veicolo dell’infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.
Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria.
Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo.
Se si è restii ad auto-scorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale.
Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti.
La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta.
Questa deve essere consegnata da Satana, che volentieri la fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell’anima.
Un’alternativa all’uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici.
Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo.
A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assafetida, solano, prezzemolo e giusquiamo. Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso.
Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere “acqua licantropica”, cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo-lupo.
La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento.
Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari.
Il plenilunio assume importanza, anche se non sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie.
Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale.
L’idea dell’influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende.
Vi sono tradizioni (ad esempio in Calabria) secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l’influsso della luna nuova.
L’involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente.
Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia.
San Patrizio, secondo la tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere popolazioni, così come San Natale.
I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in certi periodi dell’anno.
Chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell’Epifania, per esempio, ha buone probabilità di divenire lupo mannaro.
Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo.
Per salvare il figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi.
La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose.
Vi è una tradizione abruzzese secondo cui dormire sotto la luna piena (in alcune zone deve essere anche un mercoledì notte) porta al licantropismo.
Per le piante, la credenza più diffusa proviene dall’est europeo e avverte di stare lontani dai fiori neri (secondo la versione moldava, questi crescerebbero di preferenza vicino a cimiteri).
Il nero è un colore che le infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi (non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica soprannaturalità e probabile matrice diabolica.

Difendersi dal Licantropo
Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l’argento.
Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, nonostante la tradizione cinematografica prediliga il paletto di frassino).
Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale.
La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall’epoca greca erano associate a questo metallo.
Secondo alcune versioni del mito, l’arma d’argento deve anche essere benedetta, o addirittura fusa da un crocifisso d’argento.
Le più complesse sono una versione piemontese e una francese della Saintogne; secondo quella piemontese, la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d’argento benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale.
La versione della Saintogne non prevede espressamente l’argento, ma le pallottole devono essere benedette in particolari ore della notte in una cappella dedicata a Sant’Uberto.
Un’alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa.
Opzionalmente, dopo aver ucciso l’uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento.
Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava).
La licantropia si fronteggia meglio sul fronte della cura e della dissuasione.
Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo.
Ad esempio, l’uomo-lupo siciliano non è in grado di salire le scale che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo e per curare il malcapitato da tale stato di affezione bisogna colpirgli la testa in modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di “sangu malatu” (sangue malato).
Anche lo zolfo messo sulla soglia di casa costituisce un valido deterrente.
Il lupo mannaro abruzzese potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare.
In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi.
Buona efficacia ha anche l’aconito (in inglese prende il nome di wolfsbane, “veleno dei lupi”) che risulta particolarmente sgradito.
La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in forma umana.

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